“Il cuore della notte” – Giordana Ungaro

La quiete notturna è una culla dolce e terribile. Nel silenzio, soli e in balia dei propri demoni le ombre si allungano, dilatano e ogni paura si amplifica fino a inghiottirci.
Annabel giaceva nel grande letto, nuda, sveglia e incapace di riaddormentarsi. Ascoltava il respiro lento e regolare dell’uomo steso accanto a lei, soffocata da un’angoscia ormai insopportabile. La sua stupida gelosia aveva seppellito quell’amore sotto le macerie di una fragilità disarmante. Perché? Perché ora? Urlò in silenzio. Era così sicura di sé, convinta di poter gestire quella relazione.
Risoluta a non innamorarsi accettando il fatto che tra loro non ci sarebbe mai stato alcun impegno e invece, come una sciocca ragazzina, si ritrovava sveglia, nel cuore della notte, incapace di trattenere le lacrime. Voleva piangere, scuoterlo, prenderlo a pugni e poi fuggire, smettere una volta per tutte di far credere che andasse tutto bene.
Scostò il lenzuolo e si mise seduta. Lo sfiorò con le dita mentre reo inconsapevole russava lieve nella penombra. Fingere di non amarlo era divenuto impossibile. 
Le lacrime cominciarono a sgorgare. Non l’avrebbe permesso, non lì. Fece un respiro profondo e si asciugò gli occhi col dorso della mano.
Sbirciò la radiosveglia sul comodino, erano appena le due. Il cuore della notte. La porta a vetri era aperta e un alito di vento gonfiò la tenda facendo tintinnare lo scacciapensieri. L’aria fresca di un insolito mite fine ottobre le carezzò la pelle nuda. Scese dal letto, raccolse una felpa dalla sedia e se la infilò. Era di Lobo e più grande di almeno due taglie, la copriva fino a metà coscia. Inspirò il suo odore e strinse le braccia intorno al petto scostando la tenda per uscire in terrazza; andò a poggiarsi alla ringhiera e rimase lì, ascoltando il frinire delle cicale, respirando l’aria satura del profumo dei campi.
Le lacrime ricominciarono a sgorgare e stavolta le lasciò fare. Solo quando fu quieta rientrò in camera. Stette a guardare la sagoma di Lobo, immobile nel buio. Era in balia del suo amore crudele, sfuggente, fedifrago, che aveva scelto lei stessa come un silicio. Per quanto ancora era disposta a sopportare di vivere in un limbo? Per quanto avrebbe potuto continuare a tacere fustigandosi? Chiuse gli occhi e scosse il capo. Non un minuto di più era la risposta. Avrebbe spezzato le catene di quell’amore malato che l’aveva resa così fragile.
Decise di lasciarlo. In quel momento, nel cuore della notte. Senza doverlo in tal modo guardare negli occhi, forte di un coraggio labile, che all’alba, tra le sue braccia, si sarebbe dissolto come un filo di fumo. 
Annabel se ne andò, per sempre, spezzando le sbarre della sua gabbia dorata.
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