Sulla terra le mani ai confini del ciliegio,
dove il mondo ricomincia in un giorno vestito di luce.
Alzai lo sguardo verso il ciliegio in fiore che estasiava la mia vista e sospirai, mentre mia sorella si beava del paesaggio. Intorno a noi, solo colline lontane e luce piena del giorno, prati lussureggianti e silenzio.
Mia sorella Lina aveva dodici anni, ma sembrava molto più grande mentre io rimanevo una ventenne che si affacciava alla vita da una finestra senza infissi.
Avrei potuto toccare con mano i muri di quella mia vita, fradici di muffa e logorati dal tempo. Ero ancora vergine su una figura esile e i lunghi capelli color mogano.
Mia sorella, invece, era la vera donna di casa. Dai capelli biondo cenere e gli occhi verdi come quei prati su cui si adagiavano i nostri sguardi, aveva avuto le sue prime mestruazioni a nove anni, e la sua vita era cambiata a dieci. Una violenza atroce l’aveva resa adulta. La paura era diventata sua madre e il dolore suo fratello.
Nessuno sapeva chi era stato. Lo aveva confessato solo a me, un pomeriggio d’estate, quando nostra madre era ancora nei campi a raccogliere pomodori con sua sorella Giustina e suo marito Rodolfo. Il mostro.
La vita era diventata un inferno dalla morte di nostro padre, proprio una settimana prima dell’orribile violenza. Un male oscuro gli aveva tolto la vita e noi eravamo rimaste sole nella casa con la muffa ai muri già scrostati e le finestre senza infissi. Un rudere che era tutto ciò che avevamo.
Lina si era chiusa in un improvviso mutismo quando un medico ci aveva rivelato che fosse incinta. A soli dieci anni.
Ricordo il volto sconvolto di nostra madre che aveva deciso di ricorrere a un’ostetrica di sua conoscenza, dopo aver pagato il silenzio del medico.
«Torniamo a casa?» mi chiese, mentre la strada dei ciliegi appariva incantata. Le nostre teste erano protette da rami fioriti che si intrecciavano a formare ricami naturali. In quel luogo nulla ci sarebbe potuto accadere. Lo sentivo.
Lina mi prese per mano, fino a quando il sorriso mi scomparve alla vista del mostro. Aveva la solita zappa in mano e si dirigeva verso di noi.
I suoi passi erano sicuri e pesanti ma, improvvisamente, si accasciò sulla strada. Rimasi immobile. Ero stordita. Poi compresi che quel luogo fosse davvero magico e che la tortura fosse cessata. I ciliegi in fiore incorniciarono la fine di un incubo. Avevo sempre pensato che in quel posto, un giorno, saremmo state salve. Per sempre.
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