Luglio 1936
Il sole spietato del mezzogiorno riscalda le mia braccia nude e fa risplendere i miei capelli. Avrei dovuto raccoglierli ma una brezza tanto leggera quanto inusuale me li sta comunque tenendo lontano dal collo. I secchi tintinnano mentre scendo al pozzo in mezzo alla piazzetta del paese. Cerco di non pensare al ritorno quando saranno pieni e mi concentro sul luccichio che l’acqua della fontana rimanda.
Copro l’esigua distanza rimasta quasi correndo, appoggio i secchi e immergo le braccia fino al gomito. L’acqua è freschissima e mi riempie di brividi. Mi bagno il viso, scostando i capelli e bevo con avidità. Poi riempio i secchi quasi fino all’orlo e mi guardo furtivamente attorno. La piazzetta sembra davvero deserta. Sbircio alle mie spalle la via che porta alla chiesa e al vicino municipio e la scopro vuota. Si sente in lontananza solo il vociare delle varie famiglie ormai riunite per il pranzo, così decido di fare un piccolo gesto di trasgressione.
Mi tolgo i sandali, mi siedo sulla pietra, resa liscia dalla fatica delle donne che lì lavano i panni, e immergo le gambe quasi fin oltre il ginocchio. Per non bagnare il vestito lo tiro su fino a metà coscia e alzo lo sguardo verso il sole, chiudendo gli occhi e inspirando un dolce senso di libertà. Quando li riapro vedo tutto un po’ sfuocato e non colgo ogni particolare. Forse è per questo che non vedo l’uomo all’ombra del porticato della casa di fronte. Mi sta fissando in modo sfacciato e insistente, soffermandosi sulla pelle esposta tra le ultime pieghe del vestito e il filo dell’acqua. È molto alto e la sua pelle è ambrata. Porta dei pantaloni color cachi che gli cadono morbidi e una camicia lasciata aperta. È in divisa, ma non sembra preoccuparsi del suo decoro o del suo rispetto. I suoi capelli sono cortissimi, addirittura rasati sulle tempie e neri come il carbone. Non riesco a vedere i suoi occhi e la cosa comincia a farmi paura.
«Fai sempre così ogni volta che vieni al pozzo?»
La sua voce è profonda e possente, totalmente diversa da quella dei miei fratelli. Esce dall’ombra e si avvicina lentamente fino a che ad arrivare alla pietra dove ero seduta pochi minuti prima. Mi offre una mano senza dire una parola e io, armata di poco buonsenso e di curiosità, accetto il suo aiuto per uscire dall’acqua.
«Grazie.»
«Ce l’hai la lingua allora!»
Mi sento punta nell’orgoglio e d’istinto gli faccio la linguaccia. L’uomo scoppia a ridere buttando indietro la testa e incrociando le braccia sul suo ventre. Quando torna a fissarmi noto il colore indescrivibile dei suoi occhi, verdissimi come l’erba dei prati dopo la pioggia estiva.
«Come ti chiami?»
«Emma. Tu chi sei? Da dove vieni? Sembri scappato dall’inferno.»
«Mi chiamo Giulio. In effetti sono appena tornato dall’inferno, ma non quello che pensi tu. C’è di peggio, bimba. C’è la guerra.»
Il sole sceglie quel momento per offuscarsi e proiettare su di noi un’ombra sinistra che mi riempie nuovamente di brividi.
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