“Dopo il mio intervento all’ONU ricevetti molti messaggi di apprezzamento e sostegno da tutto il mondo. Dalla mia patria, invece, mi arrivò soprattutto silenzio, rotto solo da Twitter e Facebook, dove i miei stessi fratelli e sorelle pakistani si esprimevano contro di me. Mi accusavano di aver parlato solo per <un’adolescenziale sete di gloria>.
… Ma a me non importa. So che la gente parla così perché ha già visto troppi leader e uomini politici in Pakistan fare promesse che poi non hanno mantenuto.
… Le persone hanno completamente perso fiducia le une nelle altre, ma vorrei che tutti sapessero che io non voglio sostegno per me stessa, bensì per la mia causa per la pace e l’istruzione“.
Ieri, nell’autunno 2014, il premio Nobel per la Pace è volato proprio lì, nella valle dello Swat, in Pakistan, dove vive la gente di Malala, i Pashtun.
Tutti i media ci raccontano di Malala Yousafzai, soprattutto in questi giorni… Ma se davvero volete conoscerla, dovreste leggere il suo libro:
Qui la giovane diciassettenne parla di sé e della sua storia.
Parole di dolore, felicità, amore, coraggio e speranza.
Un orgoglio per tutte le donne, per l’istruzione, per il mondo intero.
“Portavo uno dei veli bianchi di Benazir Bhutto sopra uno dei miei shalwar kamiz rosa, e chiesi al leader del mondo di dare un’istruzione gratuita a tutti i bambini. <Prendiamo in mando i nostri libri e le nostre penne>, dissi. <Sono le nostre armi più potenti. Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo>.
Non sapevo come fossero state accolte le mie parole da chi mi stava ascoltando, finché la sala non mi tributò una standing ovation. La mamma era in lacrime, e papà disse che ormai ero diventata la figlia di tutti.“