Il locale era piccolo e buio, e oltre che di alcool sapeva di musica jazz e fumo. La barista, che quando entrai stava pulendo un bicchiere con uno straccio, sembrava un angelo sorridente, con l’aureola dorata di una lampada intorno ai lunghi capelli biondi.
‹‹Sto cercando un’ombra.›› le dissi, avvicinandomi al bancone e tirando fuori una banconota da una tasca dell’impermeabile.
Lei continuò a sorridere, ma i soldi rimasero sul banco.
‹‹E’ un tizio che si fa chiamare così.›› aggiunsi, accennando a una bottiglia piena di un liquido che ricordava l’ambra dei suoi capelli.
‹‹Le ombre sono tante. – disse lei, prendendo i soldi con una mano e la bottiglia con l’altra – E pericolose, a volte.››
Rimasi in silenzio, sorseggiando il liquore. Era dolce ma con un retrogusto deciso. Proprio come doveva essere lei.
Anche l’Ombra era un tipo del genere. Appariva dal nulla, commerciando in fascicoli segreti, foto e registrazioni compromettenti. Incontrava i suoi contatti in fondo a un vicolo, nell’angolo di una piazza, nel retro di un negozio. Comprava, vendeva, poi spariva tornando da dove era venuto: nell’ombra.
L’Agenzia aveva saputo che Grossman sarebbe stato in quel bar proprio quella sera, per vedere qualcuno. Se fosse lui l’Ombra, o se si trattasse invece del suo contatto, non eravamo ancora in grado di stabilirlo. Ma tutto faceva pensare che quell’incontro ci avrebbe portato a scoprire l’identità dell’agente responsabile della più grande fuga di notizie del nostro governo. E di molti altri.
A un tratto, osservando il grande specchio alle spalle della barista, vidi Grossman entrare con una valigetta in mano. Ordinò un bicchiere di vino rosso, e dopo circa mezzo minuto un altro tizio gli si affiancò, mormorando qualcosa alla barista. Era un piccoletto dalla folta barba nera, le mani affondate nelle tasche del cappotto di panno verde.
‹‹Ecco la sua ombra, signore.›› disse lei alzando la voce. Non stava guardando dalla mia parte, ma in una frazione di secondo capii che il messaggio era diretto proprio a me.
Mi girai verso i due, ma il piccoletto diede uno spintone a Grossman e schizzò verso l’uscita. L’altro barcollò e cadde all’indietro, mollando la presa della valigetta.
‹‹Tienila d’occhio. – dissi alla ragazza – Torno subito.›› E tanto per farlo star buono, diedi un pugno in testa a Grossman.
Era sveglia, la piccola. Aveva usato un termine nato diversi secoli prima proprio lì a Venezia, dai mescitori di vino che in piazza San Marco si spostavano seguendo l’ombra del campanile, per mantenere le loro bevande al fresco.
Sarebbe finito al fresco anche il piccoletto. Aveva le gambe corte, come le bugie, e lo beccai dopo cento metri.
‹‹Sei stato stupido a chiedere un’ombra proprio oggi. – gli dissi – Non sapevi che ti stavamo addosso?››
‹‹Veramente io avevo chiesto un boccale di birra››.
Rimasi impietrito. Quando tornammo nel locale, la ragazza era sparita. Con la valigetta, il suo sorriso angelico e i suoi capelli d’ambra.
Sparita nell’ombra.
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