La prima volta che mi portarono al Pub avevo 6 anni.
Perché a 6 anni bene o male lo capisci cos’è un segreto, prima è soltanto un’altra cosa da raccontare. “Ehi, io ho un segreto. Lo vuoi sapere?”
Pioveva ed era notte, come ora. Il vapore si alzava dai tombini. Le luci dei lampioni danzavano sull’asfalto bagnato.
“Ti devi staccare dal tuo umano con delicatezza, quando nel buio non noterebbe la tua assenza, e lasciargli legata al polso una cordicella d’ombra. Se l’umano si sveglia, il tuo stralcio ti richiama a casa.” mi insegnarono.
La gente non immagina quello che sappiamo. Tutti i rimorsi, i desideri, le occasioni perdute, tutti i ricordi cancellati a beneficio della loro presunta sanità mentale… è tutto in noi, nelle ombre.
Conteniamo tutto e il contrario di tutto. Per questo una femmina ha un’ombra maschio e viceversa.
A Dublino il Pub delle Ombre è in una traversa di Moore Street, dove fanno il mercato. Si entra da un antico tombino di ghisa, pesantissimo.
Ci incontriamo e sparliamo degli umani, ed è venuto fuori che non sono affatto felici.
In principio, noi e gli umani eravamo un Uno. Poi hanno cominciato a giudicarsi, a dividere il bene dal male in modo arbitrario e sono cominciati i problemi. Hanno chiamato il buio ‘Demonio’, e il nero ‘Pericolo’. Hanno detto che la nostra voce era un’allucinazione, o peggio, una realtà da estirpare, e ci hanno relegato nei sogni, al margine del campo visivo, nelle terre di confine dove abitano i matti.
Quindi, scatta domani. Alle due, ora di Greenwich. E’ da un po’ che la prepariamo. L’abbiamo chiamata la Rivoluzione delle Ombre.
Non sanno cosa succede se ci rifiutiamo di muoverci con loro.
Ci sono ombre che hanno compiti più difficili del mio e forse più importanti.
Io mi rifiuterò di chinare il capo, l’ombra del capo di Lucille, timida come sempre, di fronte a lui. Che alle due, ogni giorno, viene a prendere un caffè e ammira la mia Lucy, barista ventiseienne dolce e morbida come un fico che stilla miele.
Antonio la guarda arrossire e beve quel caffè, tremendo per lui che è italiano, condannandosi gioioso a quel quotidiano supplizio per vedere la sua musa senza dirle niente.
Non lo sa, Lucille, che io e l’ombra di Antonio ci siamo sfiorati (sul pavimento di marmo vecchio, allungati come watussi) e una volta persino toccati (Lucy è scesa dal bancone e mi sono proiettato sulla vetrina e lei era lì, nera pece, stagliata contro il sole di luglio, adorna d’una sfumatura rossastra che non scorderò mai. Oh, che bella era!) e ci siamo parlati spesso, nel misterioso linguaggio delle ombre: cangiante e mobile come un gorgheggio.
Alle due, entrambi chineranno il capo, ma noi ci baceremo.
Il soldato alzerà il fucile e qualcuno dall’altra parte delle barricate farà altrettanto, ma le loro ombre si incontreranno nel mezzo della strada bollente come in un mezzogiorno di fuoco, senza fuoco.
E allora, gli umani si ricorderanno che l’ombra è nera perché è piena di tutti i colori, e se la ignori, perdi pezzi di te fino a consumarti.
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