Buongiorno popolo dei readers, oggi nel nostro spazio dedicato alle nuove penne che si affacciano sul panorama letterario italiano, vi parliamo di Giuseppe Russo.
Lasciamo che sia lui a presentarsi, non con il consueto curriculum, ma con parole e riflessioni più personali:
Lasciamo che sia lui a presentarsi, non con il consueto curriculum, ma con parole e riflessioni più personali:
Descriversi è quasi sempre impossibile, un esercizio che rasenta il mero narcisismo, ma purtroppo necessario nei contesti in cui il proprio messaggio debba raggiungere altri individui, e risultare credibile. Le idee, gli studi, le opinioni, nonché le ipotesi, hanno ragion d’essere se espressione di quella “ex professo” che separa i dilettanti dai professionisti, o i più semplici hobbisti dai ricercatori. Partendo dall’importante esperienza universitaria, grazie anche alla tesi di laurea, ho iniziato un percorso più attento e professionale nel complicato mondo della ricerca storica, delle conoscenze delle verità del passato, e della critica ai messaggi quasi sempre preconfezionati dai vincitori di ogni tipo di conflitto, armato o economico-culturale che sia. Se gli eventi di oggi saranno meglio compresi tra diversi anni, sebbene inflazionati, quelli del secolo scorso sono ancora oggi lontani dall’esser sviscerati in modo definitivo. Ciò che colpisce, però, è l’oblio storico al quale ci stiamo abituando. Una erosione della memoria che non danneggia pochi appassionati di storia, ma piuttosto procura un grave danno all’intera società del nostro Paese. Da troppo tempo le nuove generazioni sono stanche di ascoltare e leggere di questioni politiche e di battaglie eroiche combattute sul teatro europeo, e vogliono, anzi hanno bisogno di sapere cosa accadde realmente a tutta la nostra cultura, alle genti che componevano, e ancora oggi compongono, il reale tessuto sociale della nostra nazione. Per questo motivo, e con la speranza di recuperare l’interesse di tutti i potenziali lettori, ho deciso di analizzare e diffondere un aspetto poco considerato del terribile periodo bellico della Seconda Guerra Mondiale: i beni culturali. Essi esprimono il potenziale e l’ingegno umano, ci ricordano le basi morali della nostra tradizione, e sono i veri elementi caratterizzanti del nostro essere cittadini italiani nelle pur varie espressioni territoriali locali. Durante la guerra, oltre ai dolorosissimi eccidi e alle perdite umane tra militari e civili, furono letteralmente cancellate numerose opere del genio umano. Tele, affreschi, statue, portoni, monumenti, palazzi storici, piazze, chiese, madonne, ponti, pezzi della nostra eredità distrutti o danneggiati per sempre.
L’autore, i suoi titoli, le sue esperienze, sono nulla di fronte alle tragedie culturali, e non solo umane, che abbiamo subito, e l’unica parola che mi auguro possa descrivermi può essere condensata nel termine “ambasciatore”.
Mi auguro di potervi raccontare una storia che sia di tutti, non solo degli addetti ai lavori, dei professori, dei critici o dei giornalisti. Una storia che parli di noi stessi attraverso i nostri luoghi, i nostri affetti materiali, attraverso quei momenti di vita che viviamo, spesso inconsapevolemente, tra i monumenti che altri Paesi ci invidiano costantemente.
Il 10 giugno del 1940 l’Italia fascista entrava in guerra, persuasa da un’illusione storica e da calcoli politico-militari totalmente errati. A Napoli, diventata uno strategico trampolino di lancio verso il Mediterraneo, la guerra portò enormi disastri, inghiottendo non solo più di ventimila civili innocenti, ma danneggiando e devastando per sempre una grande fetta del patrimonio storico, artistico e culturale della città. La stessa sorte, seppur in misura minore rispetto alle tragedie della problematica città partenopea, toccò ad altre zone della regione. Numerosi centri furono prima bombardati dagli angloamericani, poi colpiti dai nazisti in ritirata, e successivamente usati e violentati dall’occupazione degli Alleati. Questi ultimi, inizialmente definiti “liberatori”, alla fine agirono ugualmente come un esercito d’occupazione feroce e non meno odioso del nemico in ritirata. Gli anni della guerra, in Campania, furono tre volte più devastanti che nel resto d’Italia. Non caddero solo militari e civili. Caddero anche le pietre angolari della nostra cultura.
«…I bombardamenti a tappeto non prevedevano solo la distruzione delle infrastrutture e degli obiettivi militari, ma si prefiggevano soprattutto di distruggere il morale delle popolazioni colpite attraverso la cancellazione delle basilari strutture civili di una città: palazzi, ritrovi, piazze, monumenti, trasporti, uffici, fabbriche, chiese. Nulla fu lasciato al caso, né alla pietà…»
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