“Le cose si rompono in continuazione.
Bicchieri, piatti, unghie.
Le promesse.
I cuori.”
Succedono cose strane con i libri: alcuni una volta letti rimangono incollati alle nostre mani anche dopo averli riposti, altri scivolano via nello spazio di una giornata. Altri ancora si fanno pensare. A pochi ci si riesce ad affezionare.
Quando qualcosa o qualcuno si spezza, si rompe, rotola via, svanisce o, per qualsiasi motivo, ci sfugge, abbiamo sempre un piccolo rimorso, più o meno grande a seconda dell’interesse che abbiamo per quell’oggetto o per quella persona. A volte, l’insignificanza di un nostro avere, è equivalente a tutto ciò di cui abbiamo bisogno in quel momento per stare bene. I nostri sentimenti sono impalpabili, eppure se si frantumano li sentiamo cadere a terra distintamente un pezzo dopo l’altro. Non c’è cosa più dolorosa del raccogliere qualcosa che non ci è possibile aggiustare.
“La bambina di vetro”, il cui titolo originale è “Handle with care” (maneggiare con cura), è un libro così potente, da lasciare impronte di sé sulla pelle, fra le pieghe dei vestiti, dietro al sorriso, in mezzo alla giornata. Una vicenda commovente, completamente nuda. Non ci sono artifici, è il racconto inventato di realtà poco conosciute.
“Non si può vivere una vita senza impatto.” Questa è una delle frasi che Charlotte si sente dire dai medici quando entra nel “circolo vizioso” dell’osteogenesi imperfetta. “Essere attivi senza procurarsi fratture”.
Non spaventatevi, cari lettori. Forse questo è solo uno dei tanti libri forti e perfetti, che sono per pochi. Ma badate bene, è aperto al mondo. Questa storia, quella di Willow, che nasce con questa malattia che la rende la fragilità in persona, è qualcosa di meraviglioso e tragico insieme. Non sviluppa pietà, ma domanda e conflitto e come ben sapete alle domande si cerca risposta, mentre al conflitto si cerca di porre rimedio.
Charlotte e Sean sono genitori di Amelia e Willow, una famiglia che viene letteralmente sconvolta dall’osteogenesi imperfetta. Quello che tutto il libro esalta, non è solo la difficoltà del quotidiano, ma l’incertezza che si crea in una famiglia che ha comunque dei sogni rispetto a questa vita. Poco importa se c’è da combattere, conta che alla fine sei devastato, ma stringi il sogno.
Willow è una bambina incredibile, non puoi non amarla, non puoi non capire che dietro il suo bagaglio di curiosità, c’è una personalità che di fragile ha solo la malattia. Se Willow cade il suo mondo si ferma completamente per giorni e giorni, le ossa le si rompono così facilmente che è impossibile concepire un movimento più brusco del previsto, ogni gesto è calcolato, ridotto, rallentato. Eppure Willow conquista non perché ha questa peculiarità, lei è eccezionale. Il suo modo di esprimersi lascia letteralmente ammutoliti, così anche quello di relazionarsi con un mondo che la metterebbe in un angolo. Attenzione però, questo non vuol dire che lei non risenta delle sue difficoltà, o delle parole degli altri. Non c’è nessuna ipocrisia in questo libro, solo la cruda verità di un mondo imperfetto, con persone altrettanto difettate seppur apparentemente sane.
In una famiglia dove l’attenzione dei genitori viene catalizzata su chi più ha bisogno di costante aiuto e supporto, spesso ci si dimentica di chi sta bene. Non è incuria, è che la testa a volte si ritrova a esser troppo piena per tutto il caos emotivo che deve portarsi in giro. Amelia, la figlia maggiore, pur amando la sorellina, sente vacillare il suo piccolo e adolesceziale mondo. Vivrà attimi di autodistruzione, che scambierà per automedicazione di ferite difficili da indovinare sul suo volto.
“A volte penso che dev’esserci una bestia che vive dentro di me, nella caverna dove dovrebbe stare il mio cuore, e ogni tanto riempie ogni centimetro della mia pelle, e io posso soltanto fare cose inopportune. Il suo alito è pieno di bugie; puzza di rancore. E proprio in quel momento decise di sollevare la sua testa mostruosa. […]”
Nel contempo, l’amore di Charlotte e Sean, messo a dura prova dai conti che non tornano, dagli aiuti finti, dagli intenti mancati, dalle paure per il futuro, subirà un terremoto in cui le coscienze si mettono a dura prova e gli animi si accendono di risentimenti indesiderati, mai provati. La stanchezza ci rende sconosciuti a noi stessi.
In mezzo a questa storia c’è un processo di colpe, d’intenzioni, di bisogni, di parole non dette o sfiorate. Tutto converge in una sola e unica direzione: il bene. Come si può fare un processo al bene, un processo vero e proprio? Chi può decidere quanto l’amore che si prova per una figlia sia eccessivo, tanto da intentare una causa assurda e complicata che risveglierà attriti, distruggerà amicizie, creerà dolore, ma in tutto questo potrà forse garantire un futuro meno complicato a una bambina con l’osteogenesi imperfetta?
Chi può far smettere a una mamma di pensare che la figlia possa avere di più, anche se per ottenerlo dovrà far tremare ogni cosa, inclusa se stessa e anche il cuore di quella stessa figlia?
Ho amato questo libro fin dalle prime pagine e ho dentro un enorme conflitto. Aggiustarsi non è mai semplice. Non sapevo bene chi sostenere nelle sue logiche. Non capivo come si superassero alcuni confini e dove ci si dovesse necessariamente fermare di fronte a uno stagno ghiacciato.
Si tratta solo di una corsa, ma bisogna stare attenti, mi sono detta.
Si tratta solo di prenderle la mano e fare attenzione.
Ma come si fa ad abbracciare forte qualcuno di così fragile senza la paura strisciante di sbagliare?
Come si può non restarne sistematicamente condizionati?
Come si possono usare le parole giuste? Forse è che a volte di fronte al dolore degli altri, ci inventiamo parabole inservibili, quando basterebbe solo amarli.
“Non è solo un modo di dire, pensavo, che se le tue ossa si rompevano, si rompeva anche il mio cuore.”
La verità è che ho bisogno di queste storie: la potenza con cui si aggrappano alla coscienza di lettore. Il modo in cui ti si ritorcono contro, la maestria con cui ti si insinuano dentro. Quell’assurda capacità di alcuni autori di regalarti una scioccante, fracassante melodia. Un boato di emotività incredibile. Quanto fa in fretta a sconvolgersi ogni cosa?
Ci frantumiamo in mille pezzi, continuamente. OI o non OI. Siamo esseri deboli, mendicanti di amore e attenzioni. Persone costantemente alla ricerca di approvazione, in fila con il numerino per avere una donazione di bene.
Willow non è la sua malattia, è molto di più. È colei che seppur così fragile fisicamente, ha incollato non le sue ossa, ma i pezzetti di forza caduti da tutti gli altri, pur avendo pensato di essere lontana dal piacere al mondo, pur avendo anche lei perso coraggio.
“Il mondo sarebbe un posto molto più comodo se, invece di attingere tutto il tempo a un’accozzaglia di sillabe, dicessimo semplicemente quello che intendiamo dire. […] Se qualcuno me lo chiedesse, benché nessuno lo abbia mai fatto, direi che le uniche parole che vale la pena di pronunciare sono Mi dispiace.”
Le madri fanno continuamente una battaglia più o meno silenziosa per i loro figli. Charlotte è una delle tante, qualcuno che non ce la fa e chiede aiuto cercandolo nell’unico fascio di luce possibile:
“Ti avrei dimostrato che essere diversi non è una condanna a morte bensì una chiamata alle armi. Sì, avresti continuato a spaccare: non ossa ma barriere.”
Amo questa storia.
Amo la fragilità delle persone che sanno quando è il momento di tornare su.
Amo Willow e tutto il suo sapere curioso snocciolato nei momenti più assurdi e anche commoventi.
Amo i genitori che sanno imparare a esserlo e sanno che non ci si nasce.
Amo i medici diretti, ma dolci, quelli che sbagliano e lo ammettono.
Amo gli amici, quelli che quando non stai bene al posto di farti una torta vengono a darti un abbraccio.
Amo chi si dà e non si sottrae.
Amo commuovermi e ammetterlo.
Amo i libri, soprattutto quelli che non vedo l’ora di tornare a casa a leggere.
Amo. Questo è l’essenziale.
(la Books Hunter Jessica)
Titolo: La bambina di vetro
Autori: Jodi Picoult
Editore: Corbaccio
Genere: Romanzo
Pagine: 575
Prezzo: € 19,60
Trama:
Tutti i genitori in attesa vi diranno che non vogliono un bambino perfetto, ma che vogliono un bambino sano. Anche Charlotte e Sean O’Keefe avrebbero chiesto un bambino sano, se avessero potuto scegliere. Invece, la loro vita è fatta di preoccupazioni, di notti insonni, di conti che si accumulano, degli sguardi pietosi dei genitori «più fortunati» e, peggio ancora, di «e se…». E se la loro bambina fosse nata sana? Ma vale la pena di affrontare tutto questo, perché Willow è perfetta, per quanto strano possa sembrare. È intelligente e carina, gentile e coraggiosa e, per avere solo cinque anni, è inaspettatamente e profondamente saggia. Willow è Willow, in salute e in malattia. Ma quel «e se…» scava a fondo nel cuore e nella mente di Charlotte, che proprio in nome di Willow e dell’amore che ha per lei, decide di affrontare un processo contro la ginecologa che non ha diagnosticato prima la malattia della bambina: osteogenesi imperfetta, un termine asettico che descrive una fragilità ossea incompatibile con uno sviluppo e una vita «normali». Questo significa per lei cercare risposta a una serie di domande che forse una madre non dovrebbe mai essere costretta a rivolgersi. E se Sean e Charlotte avessero saputo prima della malattia di Willow? E se la loro amata Willow non fosse mai nata?
L’autrice:
Jodi Picoult, la regina delle classifiche americane, vive a Hanover, New Hampshire, con il marito, i tre figli e numerosi animali domestici. I suoi romanzi sono pubblicati in 35 paesi. Ha vinto numerosi premi letterari fra cui il New England Bookseller Award for Fiction, il Book Browse Diamond Award, il Fearless Fiction Award, il Virginia Reader’s Choice Award e molti altri ancora americani e inglesi. In Italia, Corbaccio ha pubblicato «La custode di mia sorella», «Il colore della neve», «Senzalasciare traccia», «Diciannove minuti», «Un nuovo battito», «La bambina di vetro», «Le case degli altri», «L’altra famiglia», «Intenso come un ricordo», «La solitudine del lupo» e «Leaving».
Della stessa autrice in Books Hunters Blog: “Recensione: Leaving”
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