“Trame tra le mura”, A.A. V.V. – dal concorso letterario, la raccolta di racconti

Buongiorno lettori, oggi vi segnaliamo una recentissima uscita by Nativi Digitali Edizioni. Si tratta di una raccolta di racconti selezionati dall’omonimo concorso letterario sul tema degli “appartamenti condivisi”.

“Trame tra le mura” raccoglie cinque storie, tra l’umoristico, il romantico e il thriller, dedicate a chi ha vissuto l’esperienza di una casa in condivisione con sconosciuti, oppure vorrebbe viverla.
Titolo: Trame tra le mura
Autore: A.A. V.V. (racconti)
Editore: Nativi Digitali Edizioni
Generi: Vari
Pagine: 100 circa
Prezzo (cartaceo su amazon): € 10,00
Prezzo (ebook): € 2,99

Il libro:
Condividere un appartamento con altre persone è sempre un azzardo: le storie che nasceranno potranno essere comiche, romantiche, surreali, drammatiche… oppure (si spera di no) horror!
Non è quindi un caso se oltre sessanta autori hanno deciso di mettersi in gioco e partecipare a “Trame tra le Mura”, contest letterario con una sola regola: la storia deve essere ambientata interamente in un appartamento condiviso.
In questa raccolta troverete i cinque racconti vincitori del contest, “trame” per tutti i gusti che abbiamo selezionato pensando proprio a chi ha vissuto l’esperienza di un appartamento condiviso… anche solo con la fantasia!

Titoli e gli autori:
“La volta che vissi con l’Anarchico” – Marco Zangari

“La Lettera” – Rossana Bergamini

“La Stanza Segreta” – Germano Chiaverini

“Tutta colpa di S.” – Rosanna Ferro

“Onora il padre” – Antonio Michele Paladino

Estratto:
La volta che vissi l’anarchico – Marco Zangari
Ne sapevo poco di anarchia e anarchici in generale. Cioè, sapevo quello che sanno tutti: che non credono in niente. Diciamo che questo è quello che pensavo, grosso modo. Non mi ero mai messo a studiare a fondo la faccenda.
L’anarchia e le idee politiche in generale sembravano qualcosa di molto distante in quel settembre. Il mese stava quasi per finire, c’era l’affitto da pagare e ancora l’altra stanza rimaneva vuota. Maurizio, il ragazzo che la occupava prima, era un mio amico di lunga data. Andavamo molto d’accordo. Lunghe serate a parlare, qualche birra, e sicuramente qualche discorso sulla politica l’avremo fatto, anche se ora non ricordo se avevamo mai parlato di anarchia. In ogni caso, a lui era successo qualcosa ed era dovuto andare via più o meno di fretta. Sono abbastanza sicuro che nemmeno lui stesse pensando, in quel momento, a cosa fosse davvero l’anarchia. Ma poi, in queste cose, non si può mai dire.
Di sicuro non ci pensavo io. Non sapevo chi avrebbe risposto all’annuncio, uno fra le migliaia nel quartiere universitario di Roma, dove le case venivano affittate al metro e al centimetro quadrato come fossero delle reggie, come se non ci fossero i muri cadenti, i mobili scassati, i tubi tutti marci. A me e Maurizio era andata ancora bene, l’affitto era rimasto a livelli umani, ma il proprietario voleva la sua busta (non dichiarata) ogni 5 del mese, con la pioggia e col sereno. Che cazzo potevo fare, se non stare lì seduto ad aspettare?
Qualcuno cominciò ad arrivare. Facce stordite, facce accaldate. Sembravano non ricordare nemmeno bene perché fossero venuti. Si guardavano attorno ed io mi guardavo in giro insieme a loro, notavo gli spazi lasciati vuoti dai poster di Maurizio, ricordavo il perché di ogni macchia e pensavo a quei lunghi discorsi, che probabilmente non avevano molto a che fare con l’anarchia.
Vennero punkabbestia e matricole, ragazze e lavoratori. C’era chi mi faceva i complimenti per i canzonieri accatastati sotto i posacenere, e chi si lamentava della scarsa luce. È un primo piano, spiegavo. Aiuta a prevenire i suicidi, almeno. Non ridevano. Non l’avevano capita, mi sa.
A me il primo piano faceva bene.
Alla fine, quando stavo perdendo le speranze e le masse proletarie e svantaggiate erano tutte passate dal nostro minuscolo salottino e avevano fatto dei commenti sul pavimento arancione della cucina, venne questo ragazzo. MATRICOLA, disse subito. Ahi, pensai.
ARTE E SPETTACOLO, aggiunse poi.
Ahi, pensai ancora.
Però sembrava sapere perché era lì, non fece facce strane quando gli dissi il prezzo, e sembrò gradire i volti del Che e di Kurt appesi al muro. Così gli offrii una birra, me ne aprii una anch’io e ci mettemmo comodi – io sul letto, lui alla scrivania.
MI PIACE, disse lui.
Va bene, dissi io, però sarebbe solo per un anno.
Gli spiegai che Maurizio aveva intenzione di tornare, una volta calmate le acque. Un contratto di un anno era un’abitudine comune, specie per le matricole, ma a me piaceva parlare chiaro.
NESSUN PROBLEMA, fece lui. Disse di chiamarsi Carlo e buttò giù un sorso. Ci scambiammo nomi e marche di liquori. Mi sembrava un tipo a posto, questo Carlo. Ero contento di averlo trovato. Mi preoccupava il fatto di trovare qualcuno fuori di testa, o invadente. Carlo disse di non essere nessuna di queste cose. Poi guardò la foto del Che, buttò fuori un po’ di fumo e disse, COMUNQUE IO SONO ANARCHICO.
Ah, dissi io. Poi, non sapendo cosa aggiungere, buttai giù ancora un po’ di birra e fissai con aria vaga il poster del Che pensando, poteva andare peggio, no?
Il Che, lì dal poster, continuava a fumare il suo sigaro. Per un po’ restammo tutti in silenzio.
***
Fu così che cominciai a vivere con un anarchico. Ero un po’ preoccupato, a dire la verità. Nonostante lui sembrasse uno a posto e fossimo andati subito d’accordo, c’era questa storia dell’anarchia che scombinava tutto. Da quello che sapevo, gli anarchici se ne fregano di tutto. Cosa sarebbe successo alla casa? Carlo avrebbe magari lasciato scorrere l’acqua, col rischio di allagare il bagno, solo perché se ne fregava di chiudere il rubinetto? O avrebbe gettato la spazzatura per terra, sempre per lo stesso motivo?
Per fortuna, non accadde niente di tutto questo. Carlo, anzi, era pulito fino all’eccesso. Aveva le sue stoviglie, che sciacquava subito e rimetteva da parte. Buttava la spazzatura puntuale e non lasciava mai l’acqua aperta.
Contento di aver peccato di ignoranza, lo guardavo e pensavo, però, questi anarchici magari se ne fregano, ma la sanno tenere una casa. Visto che con lui ci dovevo dividere l’appartamento e basta, al momento, mi stava più che bene.
Certo, c’erano altre cose. D’altra parte, uno non può essere anarchico e poi non comportarsi come tale.
Quando ci eravamo incontrati la prima volta, avevo detto a Carlo che non ero una persona mattiniera. Adesso è diverso, ma un tempo non potevo tollerare che qualcuno mi rivolgesse la parola nelle due ore successive al mio risveglio. Visto che non facevo alcun lavoro a contatto col pubblico – anzi, non facevo alcun lavoro e basta – me lo potevo ancora permettere. Maurizio lo sapeva ed evitava di parlarmi al mattino, così mi sembrò giusto avvisare anche Carlo.
NESSUN PROBLEMA, VECCHIO!, disse lui (mi chiamava già vecchio, in maniera affettuosa).
Per i primi giorni filò tutto liscio. Qualche volta lo incrociavo quando andavo a farmi il caffè, appena sveglio, e scambiavamo qualche parola. Lasciavo correre perché mi dicevo, è arrivato da poco, lascialo ambientare. Così annuivo, bofonchiavo qualcosa, parlavo con bocca impastata di doposbronza e insonnia. Lui era contentissimo di quelle chiacchierate al mattino. Mi disse che non dormiva MAI di notte, ma solo durante il giorno. Così aveva tempo per sentire tutti i notiziari notturni e poi riferirmeli, uno per uno. Io dentro di me pensavo, almeno non dovrò comprarmi un giornale, e così annuivo mentre aspettavo che la caffettiera vomitasse il suo succo nero.
La cosa, però, non si limitò al primo periodo. Divenne anzi sistematica. Ogni mattina, una nuova rottura di coglioni. Succedeva così: mi svegliavo pronto per una pisciata enorme, andavo al bagno ma lui era dentro. Faceva dalle cinque alle otto cagate a notte (lo so perchè ogni mattina mi teneva aggiornato). Così, col piscio rassegnato, andavo a preparare la caffettiera. Lui nel frattempo aveva cominciato a parlare dal cesso. Lo faceva sempre. Sembrava che il contatto delle chiappe con la tavoloccia gli facesse partire la chiacchiera. Vecchio, hai sentito di quell’incidente ferroviario? E di quel ministro giapponese che l’hanno beccato ubriaco? Gli immigrati colati a picco al largo di Lampedusa, almeno quelli li hai visti, vecchio?
Tra un’informazione e l’altra, mollava uno stronzo. Potevo sentirne il tuffo dalla cucina. Io pregavo che il caffè venisse fuori presto. Lo stomaco mi ruggiva.
E il terremoto in Turchia l’hai visto? E l’ultima di Berlusconi?
Invano gli spiegavo che, essendomi appena svegliato, non avevo avuto modo ancora di vedere niente. Lui continuava. HAI SENTITO QUELLO CHE HA DETTO GASPARRI? E I BLOCCHI DAVANTI ALLE UNIVERSITA’? HAI SENTITO CHE HA FATTO LA FIORENTINA?
Una cosa va detta: il notiziario se lo sentiva tutto, senza tralasciarne una.
Nel momento in cui versavo il caffè nella tazzina, lui usciva, lasciando la porta aperta e la puzza di merda che si mischiava all’aroma del caffè e lo strangolava.
BEH, BEH, E QUELLO CHE HA UCCISO LA MOGLIE E L’AMANTE L’HAI SENTITO?
Cercavo di rinchiudermi nella mia stanza, ma ormai era tardi. Quando mi saliva l’incazzatura mi ripetevo, forse fa così perché è anarchico. Loro se ne fregano delle regole.
La mia sembrava più una richiesta che una regola, ma magari gli anarchici se ne fregavano pure delle richieste.
Nel dubbio, mi bevevo il mio caffè alla merda.
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