“Genius”: dal libro al film

Buongiorno lettori, questo lunedì vi parlo del film “GENIUS” diretto da Michael Grandage.

Dovete sapere che anche questo film ha la sua versione cartacea, edita da Elliot Edizioni:
“Genius. Max Perkins, l’editor dei geni” di Andrew Scott Berg

SOLO UN GENIO
PUÒ SCOPRIRNE UN ALTRO.


Genius, come pochi film tendono a fare, perché è sempre stato molto più facile, forse, parlare degli scrittori e non di chi sta dietro di loro, ci racconta la passione dell’editor inteso come cercatore di storie da far amare al pubblico. Storie, non elementi di marketing atti a fare business.
O meglio: Perkins cercava testi che avrebbero di sicuro avuto successo, ma partendo dalla storia e non dal guadagno che avrebbero potuto avere.
E lui è stato artefice della pubblicazione negli anni venti dei primi romanzi di scrittori come Fitzgerald, Hemingway e appunto Thomas Wolfe.

Max Perkins il silenzioso ed equilibrato editor, si scontrerà con l’egocentrismo di Wolfe, un folle scrittore fino a quel momento rifiutato da tutti, che è incapace di stringere il campo e la visuale al necessario: 80 pagine per una scena, 5000 per un intero libro. 
Un legame il loro che andrà oltre quello lavorativo, trasformandosi in quel rapporto padre-figlio che all’editor è sempre mancato e che per il tempo sottratto ai rispettivi matrimoni, inevitabilmente farà tremare il rapporto con le rispettive mogli.


Wolfe è un personaggio affamato di vita oltre che di parole buttate sul foglio in maniera febbrile. Tagliare è una parola che molti scrittori nemmeno contemplano nel loro panorama linguistico, per questo Perkins dovrà lavorare a fondo con Wolfe, insegnandogli che anche in poche parole può starci un’emozione.

Questo è il messaggio di Genius e proprio per questo mi sono chiesta: è o no una pellicola che tutti capirebbero? O è solo d’interesse a quelle persone che hanno un rapporto stretto con il mondo della scrittura e molto in generale della parola scritta?
Eppure c’è un rapporto con le parole che non dovrebbe circoscriversi a chi con le parole ci vive o lavora (vive e lavora in questo caso non sono la stessa cosa.)

Mi viene in mente qualcuno che ultimamente mi ha fatto tutto un discorso al limite del filosofico, un giro infinito di parole, per esprimermi un concetto che io nella mia testa già traducevo in 5 parole scarse.
C’è che forse dovremmo imparare a vivere le parole adattandole al contesto, pensando a chi ci ascolta. Dovremmo essere editor di noi stessi, lavando via l’egocentrismo che spesso ci sdoppia in persone che gli altri definiscono solo personaggi.

Un film molto bello, “un cappello” a protezione delle idee, essenziale per approcciarsi alla gente.

E per concludere penso che forse dovremmo darci tutti un taglio…

Jess – Books Hunters Blog
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