Recensione “Non oso dire la gioia” di Laura Imai Messina

Non oso dire la gioia,
per paura che vada via.
Come le mura che proteggono una città, come una rete di confine, come la pioggia battente che ti tiene fuori dal mondo, come una bocca serrata che nasconde il sorriso. La paura di una mancanza, la paura di un incrocio all’ora di punta, la paura della gioia. Siamo alla ricerca di tutto, senza saperlo, e quando lo troviamo, temiamo per noi, temiamo per quel mondo vissuto fin lì, sicuro, caldo, tenero. Eppure la gioia si apre seducente, sembra tutto ciò di cui abbiamo bisogno, anche quando, inevitabilmente, va a sporcare la gioia altrui, l’equilibrio, aprendo una crepa sul soffitto, disegnando nuovi volti e momenti, di cui qualcuno non potrà più far parte.
C’è una donna di nome Clara, infelice, nel profondo, nel ventre vuoto. La gioia la vede dipinta solo sui volti altrui, nell’incarnato di sua cognata Beatrice, nella compostezza del marito Arturo. Insegna Clara, a ragazzi secondo lei ormai perduti, inetti, perdite di tempo. Eppure un tempo aveva fatto di tutto per togliersi l’etichetta che la vedeva parte di una famiglia, la sua, di ignoranti, di gente senza sentimenti che la trattava non da figlia, ma da oggetto. Quella madre e quel padre che costruivano per sé e distruggevano intorno a lei. Mai una parola di elogio, mai un abbraccio. La promessa di una vita migliore lontano da loro, se l’era dovuta fare lei. Clara andrà all’università, non lo dirà a nessuno, non rivedrà più i suoi genitori e sua sorella. Li incontrerà anni e anni dopo, quando da donna insicura e priva di gioia, si espanderà riducendosi un po’, impaurita da quella vita che è ancora la sua, nonostante Arturo, nonostante i soldi, nonostante.
“E mai come ora Clara rimpiange quel dono mai ricevuto che è sapersi distribuire con intelligenza, e con intelligenza sentire che quando ci si dà in amore, si fa come Gesù coi pani e coi pesci, che si moltiplicano e riescono a sfamare una folla, e mettono in circolo una tale euforia che i ricchi e i poveri non si distinguono più.”
E poi c’è un ragazzo di nome Marcel, a cui la gioia in fondo non è mancata mai veramente. È però mancato un padre. Chissà perché a un certo punto, lui si sia rarefatto e perché sua madre, nonostante questo, abbia smesso di nominarlo, allontanandolo ancor di più dalle loro vite. Domande senza risposte: strade affollate in cui cercare riparo. Marcel che studia per darsi un senso, diventa professore, anche se insegnare non è ciò che vuole, ma questa è una risposta che arriverà nel tempo, dopo tutto. Dopo, quando gli ingarbugli dovranno esser sciolti, insieme a quelli sulla sua famiglia, su sua madre che, malata di Alzheimer, tornerà a scontrarsi con la sua vita passata e dovrà far chiarezza nella sua.
“Marcel spunta ogni casella, dice più di quanto a Momoko non sarebbe necessario. Ormai pare aver compreso la fragilità del loro mondo, di quello di chiunque ami e voglia in cambio essere amato, e sa che non può fare nulla per cancellare la paura.”
 
Marcel, bello, gentile: uno sguardo sulle cose, sulle persone. Attento a non colpire mai, a non calpestare mai. Ben voluto fin dalla scuola, al contrario di Jean, che nasconde se stesso dietro a un nome fittizio, incapace di amarsi, di intuire la gioia nei volti altrui. Geloso di Marcel, di quello sprazzo di felicità che l’amico porta e assicura nella sua vita. Lui, che rivelando la sua omosessualità, ha scatenato le botte del padre, lui che a scuola non è amato al contrario di Marcel, lui che farebbe di tutto perché quell’amico non gli venga mai sottratto, unico capace di ascoltarlo veramente, unico sulla cui spalla valga la pena di piangere le sconfitte, unico capace di spronarlo a non arrendersi. Finché per Marcel arriva quel momento, quell’istante in cui l’amore sbuca all’improvviso da dietro un’altra vita e non c’è più nulla che si possa fare per deviarne il percorso. Un’amicizia può sopravvivere all’amore che agita la coperta calda sotto cui quella stessa amicizia si riparava rimanendo integra? Jean non riesce a contenere la paura di perdere l’unica gioia che ha, vede in sé il sacrificio del dover abbandonare, anche se mai Marcel vorrebbe questo.
“Nei rari momenti di lucidità, quando l’intelligenza supera l’ansia, Jean si domanda come mai la gioia altrui sia sempre così complicata da gestire. Anche quando si viene invitati a parteciparvi, il sospetto e l’invidia rovinano tutto. È perché in fondo non si crede veramente di poterne fare parte, che ciò che non abbiamo generato non possa appartenerci”.
 
Momoko, quell’orientale che sta portando via Marcel a Jean, diventa una nemica per Jean, incapace di pensare alla gioia dell’amico, ma solo alla sua sconfitta. Marcel che invece trova riparo, conforto e famiglia, in quella ragazza che a sua volta in lui trova un nuovo promettente inizio, capace di distoglierla da un passato di perdita e ventre difettoso.
“Momoko non cerca neppure l’amore. Non è che non lo voglia, ma pretende che le accada. Inatteso, disannunciato e d’improvviso contaminante, fuorviante, epidemico come una malattia.”
 
“Non oso dire la gioia” ha un inizio difficile di cose difficili da spiegare, perché seppellite o coltivate in fondo al cuore. È un romanzo con le braccia spalancate in attesa di qualcuno che riempia quelle pagine, che sono rappresentanza di un vuoto doloroso eppure necessario. Leggendo le storie dei protagonisti, ritrovi la fragilità di te stesso nell’ammettere quanto una parte della gioia altrui ti ferisca inspiegabilmente, e quanto la tua riesca a spaventarti.
Momoko è la gioia persa, Marcel la gioia ricercata, donata e mai ripresa, Jean la gioia dipendente, Clara, la gioia spezzata, condizionata. Tutti loro sono uniti e insieme unici. Sono la rappresentanza di passato e futuro, uno smacco al lettore negli ultimi capitoli. “Non oso dire la gioia”, è la paura di ammetterla, per timore che ci venga sottratta. Perché se è pur vero che tutti aneliamo a un giorno di gioia pura, tutti stiamo più comodi nell’intento di lamentarci di non averla affatto conquistata. Eppure, cosa ci manca per averla? A chi un passo in più, a chi uno di meno, possiamo tutti aspirare ad essa. E allora forse la gioia è anche condivisione della stessa, espansione, accezione positiva. È sapersi riconoscere fieri di essere solo spettatori, perché in fondo, anche se non ci riguarda per primi, il solo stare a guardarla, procura un vago sentore di calma, di sorriso, di possibilità di sapere com’è, di osare cercare quella gioia. Di osare dire la gioia.
(la Books Hunter Jessica)
 
Titolo: Non oso dire la gioia / Autrice: Laura Imai Messina
Editore: Piemme / Genere: Romanzo
Uscita: 13 febbraio 2018 / Pagine: 408
Prezzo (cartaceo): € 18,50 / ISBN: 9788856663075
Prezzo (ebook): € 9,99 / EAN13: 9788858519349

Nella vita di Clara le strade hanno nomi mutevoli, quelli dei pensieri che le attraversano la mente mentre il corpo le percorre. Si perde nella geografia della città così come nel passato da cui è fuggita da ragazza. Sposata a un uomo che non ama, insegue invano una maternità che dia senso al matrimonio e, insieme, alla sua vita. Ma quando ogni speranza sembra persa, Clara si ritrova a compiere un gesto atroce, inaspettato, e nello stesso drammatico istante a realizzare il proprio sogno.
Marcel e Jean sono migliori amici. Jean vive l’amicizia con Marcel come una compensazione alla felicità mancata, sempre rimandata nell’infanzia e nell’adolescenza. Marcel, invece, non ha mai conosciuto il padre ed è una voragine quel vuoto. Soggiogato dall’amore soffocante della madre e dalla possessività dell’amico, conduce un’esistenza piatta, insignificante, indegna del suo valore. Poi, però, un giorno per Marcel arriva la gioia, una gioia che quasi non si osa dire ad alta voce. È Momoko, una donna giapponese, anche lei con un segreto doloroso che ha segnato la sua storia personale, eppure determinata a fare della propria vita la loro, rovesciando l’Oriente nell’Occidente di Marcel e insegnandogli un diverso modo d’essere e di amare. Tuttavia la gioia è complicata da gestire, soprattutto quella altrui, e quando appartiene solo a due persone, essa sa scatenare sentimenti d’odio e di vendetta in chi sta loro accanto.
Roma e Tokyo, passato e futuro, presenza e assenza si intrecciano indissolubilmente in questo romanzo che, nella crudezza che solo la verità possiede, svela i molti modi in cui si ama e si è amati.
L’autrice:
Laura Imai Messina, nata a Roma nel 1981, si è laureata in Lettere all’Università La Sapienza e si è trasferita a Tokyo a 23 anni, dove ha conseguito un dottorato presso la Tokyo University of Foreign Studies. Insegna lingua italiana all’università ed è ricercatrice di letterature comparate. Scrive romanzi nei caffè di Tokyo e durante gli spostamenti in treno tra le tante linee che attraversano la capitale. Abita tra Kamakura e Tokyo insieme a suo marito Ryosuke e ai due figli. Da qualche anno ha creato il blog Giappone Mon Amour, che ha ormai un foltissimo gruppo di affezionati lettori. Tokyo orizzontale, il suo primo romanzo, ha riscosso un ottimo successo.
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